Il tema riguardante la definizione dell’oggetto del processo rappresenta tradizionalmente uno degli aspetti più controversi e dibattuti dalla dottrina italiana e straniera. Esso risente, a monte, della ricostruzione dei rapporti tra diritto sostanziale e fenomeno giurisdizionale e produce, a valle, importanti ricadute sul piano della struttura e del funzionamento di molti istituti tipici del processo civile e, in modo particolare, del processo di cognizione.
Il punto di partenza del discorso è che il processo, per sua natura, ha un oggetto limitato poiché si svolge su una porzione di vita e di realtà circoscritta: investe, cioè, un insieme specifico di fatti, circostanze, vicende e situazioni giuridicamente rilevanti che, come tali, devono essere isolati e ben individuati. Occorre infatti selezionare ciò che è rilevante ai fini del giudizio, e deve quindi essere sottoposto al contraddittorio delle parti e al sindacato del giudice, e separarlo da ciò che invece non rientra nel perimetro processuale e che, pertanto, deve restarne fuori.
In questa opera di selezione e scrematura nell’ambito delle posizioni soggettive sostanziali un ruolo centrale è assolto dalla domanda giudiziale, intesa in senso lato come istanza di attivazione di un procedimento dinanzi
all’autorità giudiziaria per la tutela di una o più situazioni giuridiche. L’oggetto della domanda è il primo parametro di riferimento per la definizione dell’oggetto del processo e dei confini entro cui può legittimamente – e doverosamente – dispiegarsi la cognizione del giudice investito della richiesta di tutela rivoltagli dalla parte. La delimitazione della portata e dell’oggetto della domanda incide poi su alcuni dei principali istituti del processo civile.