L’Italia non è un paese per giovani, e meno ancora lo è stata durante il coronavirus. È vecchia nell’età media dei suoi insegnanti, degli impiegati pubblici, e persino dei medici in prima linea. È un paese vecchio perché pretende, giustamente, il rispetto per gli anziani e la loro fragilità, ma poi si dimentica di aiutare i giovani a crescere e costruirsi un futuro. E con il Covid si è imposta una nuova narrativa intergenerazionale: giovani untori e anziani vittime. Una narrativa falsa, perché non sono stati i giovani a fungere da untori. Inutile, perché i giovani hanno reagito bene alle restrizioni. Pericolosa, perché i giovani hanno sofferto durante la pandemia e ne porteranno le cicatrici più a lungo di tutti. Nell’abbandono scolastico, nella povertà educativa, nel precariato, il Covid ha acutizzato problemi strutturali esistenti e accentuato le disuguaglianze. I giovani hanno sofferto la DAD, hanno faticato di più a trovare il primo impiego e rischiano conseguenze avverse nella progressione di carriera; chi aveva un lavoro a tempo determinato lo ha visto arrivare a scadenza senza rinnovo. Alla pandemia l’Europa ha scelto di reagire con un piano dal nome promettente: Next Generation EU. Per l’Italia, che accede all’ammontare di risorse più ingente ma accende il mutuo più ragguardevole, la sfida è epocale: restituire il futuro a una generazione incolpevole.