Art. 314-335- bis cod. pen. Aggiornato con le modifiche della "riforma aticorruzione 2018" (L.3/2019) La presente quarta edizione dei Delitti dei pubblici ufficiali era già stata felicemente (!) avviata alle stampe quando un'ulteriore attesa si è resa necessaria onde evitare che... nascesse vecchia, a seguito dell'avvento della c.d. "Spazzacorrotti", annunciata con ottimismo pari al mediatico clamore lo scorso settembre. Un'altra legge anticorruzione, dunque, ma non proprio... una novità, se è vero che anche la terza edizione del volume s'era dovuta acconciare alle alterne vicende della "anticorruzione" precedente. Evidentemente, surclassata da anni la riforma del 1990 (la l. 86), non bastava la pur pugnace riforma del 2012 (la l. 190), neppure con le varie interpolazioni della l. 69/2015. In parte propiziata oltre tutto (va detto onestamente) da insonni Organismi sovranazionali, la riforma del 2018 (la l. 3/2019) colpisce oggi ancora più duramente, ovunque possibile, le corruzioni come altri delitti contro la p.a. Raggiunto il colmo della reclusione almeno teoricamente sostenibile (nell'esigente raffronto con altri delitti del sistema), è ora il turno delle pene accessorie, elevate a livelli sino ad oggi impensabili, per non dire esasperati. Inoltre, al fine di agevolare l'emersione di fatti criminosi, non si esita a mettere in campo eterogenei strumenti processuali e sostanziali mai sperimentati in materia, come l'agente infiltrato e la speciale causa di non punibilità della denuncia del patto criminoso ad opera dei suoi stessi protagonisti. Insomma, un "clima" complessivo da ultima spiaggia, che farebbe pensare ormai ragionevolmente conclusa l'affannosa corsa legislativa a... spazzar via la corruzione, se non fosse da un lato per una certa vulgata che vorrebbe la nostra società incredibilmente più malata di altre a noi vicine, dall' altro per la fede a quanto pare incrollabile nell'efficacia taumaturgica di trattamenti sempre più pesanti. Entrambe circostanze, queste, che francamente non condivido. La prima, perché non mi sembra sufficientemente suffragata dai fatti. La seconda, perché sono da tempo convinto che la piaga incivile della corruzione si combatte sì con pene adeguatamente severe (di cui in verità disponiamo da decenni) ma in primo luogo con il continuo richiamo a tenaci valori morali che solo un'instancabile opera culturale, di cui ciascuno di noi è personalmente responsabile, potrà rinsaldare negli animi delle giovani generazioni.