La l. n. 103/2017, prima, e il d.lgs. n. 11/2018, dopo, hanno modificato significativamente il regime delle impugnazioni penali. Le innovazioni principali hanno riguardato il giudizio di appello, del quale è stato rivisto l’ambito di legittimazione sia oggettivo sia soggettivo, e il ricorso in cassazione, i cui “casi” e i cui “motivi” sono stati ridisegnati in chiave restrittiva. Altre, e non meno importanti, modifiche hanno interessato l’impugnazione dei provvedimenti archiviativi, le disposizioni generali sulle impugnazioni e le impugnazioni straordinarie. Complessivamente, la “riforma Orlando” è intervenuta al fine, da un lato, di rendere più gravoso e responsabile l’esercizio del diritto delle parti a impugnare le sentenze e, dall’altro, di esaltare il ruolo nomofilattico della Suprema Corte a discapito della funzione di jus litigatoris che essa, in attuazione dell’art. 111, comma 7, Cost., è pure chiamata ad assolvere. Nel disegno riformatore sono poi agevolmente rinvenibili finalità di razionalizzazione della previgente disciplina (si pensi al coordinamento tra il potere di impugnazione del Procuratore della Repubblica e quello del Procuratore Generale, volto a evitare la duplicazione di appelli) e, soprattutto, di forte economia processuale (finalità queste ultime che, oltre a connotare specificamente la reintroduzione del concordato in appello e la soppressione del potere di appello incidentale del pubblico ministero, si collocano sullo sfondo dell’intera riforma). Il volume analizza diffusamente i singoli istituti codicistici sui quali sono intervenute le “manipolazioni” legislative e, anche alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali, s’interroga criticamente, ma senza pregiudizio alcuno, sulla loro “tenuta” sistematica al cospetto dei principi costituzionali e convenzionali sovrastanti la materia.