Negli ultimi anni, il dibattito accademico sul ruolo delle religioni nelle nostre democrazie si è notevolmente intensificato. Diverse sono le ragioni che spiegano questa rinnovata attenzione verso una questione che sembrava ormai di poco interesse nell’ambito delle scienze sociali. Innanzitutto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ‘teoria della secolarizzazione’, le religioni non solo sono sopravvissute ma, anzi, contribuiscono in modo determinante a plasmare le culture politiche delle nostre democrazie. In secondo luogo, i fenomeni migratori globali hanno portato ad un’intensificazione dei legami e delle interazioni tra persone di religioni e culture molto diverse. Pertanto, il pluralismo che caratterizza le nostre democrazie si è approfondito, sono emerse nuove minoranze religiose e con esse nuove controversie relative alla protezione di pratiche che investono gli ambiti più disparati della vita delle persone, come la famiglia, la sessualità, l’educazione, il modo di vestire, la dieta e molto altro. Inoltre, nuove forme di radicalismo hanno caratterizzato il ritorno delle religioni nello spazio pubblico democratico. Il fondamentalismo religioso, il conservatorismo radicale su base religiosa e, infine, il diffuso sentimento di pregiudizio nei confronti di particolari gruppi e, soprattutto, dei cittadini di fede islamica, sono tutti elementi che connotano questo fenomeno del ritorno delle religioni nello spazio pubblico. Infine, l’emergere di un nuovo orizzonte democratico, risultato del processo di decolonizzazione e della fine del confronto della Guerra Fredda, ha indotto a rimettere in discussione una convinzione radicata in Occidente secondo cui i processi di modernizzazione e democratizzazione debbano necessariamente passare per la creazione di istituzioni politiche secolari.