L’ormai riconosciuta inadeguatezza dei tradizionali archetipi sanzionatori rivolti alla criminalità economica, insieme alle sollecitazioni derivanti dalle fonti normative internazionali ed europee, ha portato il legislatore, all’alba del nuovo millennio, ad introdurre nel nostro ordinamento la responsabilità da reato delle società. Uno dei tratti più significativi del sistema è rappresentato dall’affidamento della materia al giudice penale. La scelta – tradotta nella costruzione di un corpus normativo dedicato al processo alle società, complementare all’impianto codicistico – risponde alla dichiarata esigenza di garantire un accertamento efficace ed attendibile di tutti gli elementi dell’illecito, assicurando al tempo stesso all’ente imputato la massima espansione del diritto di partecipazione e difesa nel procedimento. Le deroghe ai principi della giurisdizione penale operate dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono, però, di portata tale da far dubitare seriamente dell’effettiva intenzione garantista del legislatore. All’osservatore attento la disciplina svela una finalità diversa: il forzato ampliamento della regiudicanda mira a realizzare obiettivi di prevenzione speciale, nella convinzione che il processo penale, anche grazie alla forza intimidatoria dell’azione cautelare, possa diventare il luogo della “catarsi etica” della persona giuridica. Il binomio responsabilità d’impresa e processo penale, tuttavia, si rivela per molti aspetti problematico. Regole del gioco squilibrate e prassi inosservanti o creative rischiano infatti di mettere in crisi non solo l’effettività della funzione specialpreventiva, ma la stessa legalità della sanzione e del processo.