Detenzione e maternità rappresentano i due focus dello studio: “detenzione” come stato sprovvisto di un attributo di genere eppure bisognoso di essere declinato al femminile, affinché la dignità della detenuta si attui tramite soluzioni personalizzate; “maternità” come ruolo che caratterizza la donna.
La maternità è fonte di responsabilità, anche per chi delinque, nei confronti della prole da allevare, educare e rappresenta, al tempo stesso, un’importante fonte di resilienza. Tale aspetto, posto in relazione con l’attitudine rieducativa della pena, giustifica la cura riservata alla detenuta madre, meritevole di un trattamento, in sede cautelare e di esecuzione, calibrato a misura del suo particolare status.
Il volume muove da un quadro normativo complesso, costellato da prassi instabili e da connessioni non sempre lineari tra fase cognitiva e di esecuzione – peraltro difficili da decifrare nella tela di fonti interne e sovranazionali – e si sofferma anche sui profili processuali con particolare riguardo alle questioni giuridiche irrisolte, come la convivenza in carcere tra bambini e madri detenute, uniti da una naturale vulnerabilità.
Le prospettive di rinnovamento – altro tema sviluppato nell’Opera – sono ampie e coinvolgono anche altre sfere problematiche legate alla maternità. Ciascuna donna, anche se detenuta, può coltivare l’aspettativa di diventare ed essere madre; a costei un lungo periodo di detenzione crea un grave pregiudizio, infliggendo un’ulteriore pena connaturata al suo status. Con apertura alla genitorialità, inoltre, occorre riconoscere anche l’aspirazione (attualmente negata) di paternità al detenuto, in uno alla paternità dei bambini costretti in carcere con le madri.
In sede di riforma, occorre lavorare su due direttrici: la personalizzazione dell’intervento; la tutela dell’interesse prioritario del bambino.
Il paradigma riparativo si presenta, al riguardo, un utile strumento sullo sfondo di un coinvolgimento attivo e propositivo per la detenuta madre, cancellando automatismi e preclusioni. Al giudice resta l’onere di una decisione del caso singolo, considerando senza indulgenze le sorti del genitore che delinque e salvaguardando l’interesse del bambino, che sicuramente non è quello di crescere tra le mura di un penitenziario.