Il contratto, quale specifica relazione umana, ha ricevuto la più articolata costruzione nell’esperienza del diritto romano, frammisto tra vincolo obbligatorio e singoli patti. La figura, nella secolare storia, è stata talvolta sorretta da formalismi documentali della relazione, talaltra connotata da simbolismi rappresentativi delle prestazioni, talaltra ancora rilasciata alla vitalità dei nudi patti. E sempre è emersa una problematica di referenzialità con l’ordinamento giuridico, nella configurazione dei poteri dei privati e nella previsione delle prescrizioni normative. Con l’avvento dello stato moderno è valorizzata la prospettiva soggettiva dell’accordo, come incontro di volontà libere, all’interno della categoria unificante, astratta e generale, del negozio giuridico quale categoria ordinante l’autonomia privata (formulata dai giusnaturalisti del Settecento e rielaborata dalla pandettistica dell’Ottocento, per l’unita¬rietà astratta del soggetto di diritto). Il referente economico fondamentale dei contratti è il trasferimento (trasmissione e acquisto) della proprietà privata e di altri diritti sulle cose, come del relativo esercizio. In tal modo operano nell’impianto del cod. civ. 1865, collocati nel Libro III (Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose), come strumenti per “costituire, regolare o sciogliere un vincolo giuridico” (art. 1098). La rivoluzione industriale valorizza la prospettiva oggettiva del regolamento, come assetto di interessi patrimoniali, in un quadro di economia di mercato. Il referente economico fondamentale dei contratti diventa l’impresa, il cui svolgimento implica una garanzia di concorrenza e una efficienza del mercato, con protezione di una circolazione giuridica ampia e sicura dei prodotti. Il codice civile del 1942 si colloca in una esperienza storica complessa, di memoria delle forme di ricchezza tradizionale, quale tipicamente la proprietà specie immobiliare, e di proiezione verso le forme della ricchezza industriale caratterizzata dalle dinamiche dell’impresa e dalla circolazione dei prodotti. Predilige il “metodo dell’economia”, perché le regole giuridiche corrispondano alla sostanza dei fenomeni socio-economici. In questa impostazione si svolgono l’organizzazione e la disciplina del contratto, considerato come il “centro della vita degli affari” (Relaz. cod. civ., n. 604). I contratti sono collocati in un libro autonomo (Libro IV), operando come strumenti per “costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale” (art. 1321), con introduzione della definizione di “autonomia contrattuale” (art. 1322), come autoregolazione contrattuale di interessi. Il contratto si atteggia come atto economico relazionale, che prospetta il problema del rapporto tra le parti e con l’ordinamento. Pertanto sono soggetti a giudizi di valore sia il fine e cioè il risultato realizzato che il mezzo e cioè il procedimento impiegato per ottenerlo, attraverso una valutazione complessiva e funzionale dell’atto di autonomia privata. Nell’impianto del codice civile i criteri di difesa della volontà dei contraenti sono frammisti a principi di protezione dell’affidamento nella circolazione giuridica, con prevalenza dei secondi sui primi nelle ipotesi di contrasto per la considerazione della utilità economica dello scambio; analogamente i criteri di valutazione degli interessi coinvolti sono orientati in una logica di economia produttiva. Le molte clausole generali e specificamente il principio di buona fede (specie nel-l’acquisita accezione di dovere di solidarietà) hanno consentito alla normativa del codice di tuttora operare attraverso l’interpretazione che ha progressivamente additato soluzioni coerenti con l’evoluzione storica della società e dell’ordinamento. Secondo la gerarchia delle fonti, i valori del solidarismo e della dignità umana, derivati dalla carta costituzionale e dal diritto europeo, assurti a principi generali dell’ordinamento, orientano oggi i giudizi così dei procedimenti formativi come dei risultati perseguiti. Per la fondamentale regola dell’art. 1323 “tutti i contratti … sono sottoposti alle nor-me generali” contenute nel titolo II del Libro IV, dedicato appunto ai “contratti in generale”. Il riferimento alle “norme generali” implica sia la configurazione di una categoria generale del contratto, sia la complementarietà con norme particolari, espressa dalle regole dei contratti tipici come dalle tante regole di settore per singoli rapporti, vuoi in funzione della qualificazione dei soggetti coinvolti (ad es. rapporti di lavoro, rapporti di consumo), sia in ragione della procedimentalità impiegata (es. contratti telematici e contratti fuori dei locali commerciali). Sempre più spesso emergono tipi sociali dalla confluenza di più tipi normativi sorretti dalle norme generali.