Paralisi della giustizia civile per oltre due mesi, alluvionale legislazione di emergenza, protocolli locali a guisa di edicta, udienze cartolari o da remoto, che dell’ascolto insito nell’«audiantur partes» conservano soltanto l’etimo, comparizioni e discussioni orali dematerializzate, atti e note scritte che si moltiplicano iterativi, iper-formalismo del PCT e implacabili nullità per difetti in qualche congegno estrinseco di codesta ultra-forma telematica, kafkiani non-luoghi e ubiquità del processo e dei suoi “ministri”, che rimangono nel proprio domicilio digitale senza che più ci si rechi nel locus iustitiae onde «ius esto», incessanti riforme processuali e altre ancora preannunciate nel Recovery Plan come necessarie e indifferibili.
In questo drammatico torno di tempo si è assistito a una rivoluzione tecnologica e, prima ancora, antropologica circa il modo di postulare e di render giustizia.
Il libro offre una riflessione complessiva su «le magnifiche sorti e progressive» del processo civile, per affrontarne i problemi con spirito nuovo che faccia nuove tutte le cose, tornando in effetti all’antico, alla phrònesis dialogica che dei metodi di soluzione delle controversie è da sempre intima essenza