Quella percorsa dalla società semplice è una parabola sintomatica del fenomeno per cui nel diritto non vi è mai nulla di definitivo. Sotto un primo angolo visuale, al modello è stata tradizionalmente attribuita una valenza del tutto residuale sul piano economico, nonostante la sua disciplina sia stata individuata come quella comune delle società di persone. Da altro punto di vista, mentre la suddetta disciplina comune è certamente tra le più «stabili» del nostro ordinamento, la società semplice è stata negli ultimi decenni investita da pulsioni di riforma che, pur non comportando modifiche esplicite alla disciplina del codice civile, hanno finito per renderla molto più «omogenea» alle altre due società di persone di quanto essa non fosse originariamente: ci si riferisce, da un lato, all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e, dall’altro lato, all’ormai consolidata possibilità che, oltre alla tradizionale attività di natura agricola, la società eserciti, alternativamente, attività imprenditoriale di natura commerciale o una mera attività di godimento statico di un bene. La trattazione, svolta articolo per articolo secondo la tradizione dell’opera, dà anche conto, per quanto di interesse, dei riflessi sulla società semplice, e dunque sulle società di persone, delle modifiche che hanno investito, segnatamente con la riforma del 2003, le società di capitali che non fanno appello al mercato dei capitali, con particolare riferimento alle operazioni straordinarie. A ciò si aggiungono le recentissime modifiche che coinvolgono direttamente la gestione, introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: modifiche che presentano indubbie ricadute sistematiche e interpretative su molte delle questioni che tradizionalmente si pongono con riferimento all’amministrazione della società semplice.