Il volume offre un’analisi del tema del governo del mercato del lavoro, inteso come luogo ideale di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, dunque quale complesso di limiti alla libertà di contratto; in quest’ottica, l’Autrice propone una lettura diversa da quella sino ad ora considerata dal legislatore e dalla maggior parte degli studiosi, ponendosi nell’ottica di chi domanda lavoro.
Da questo angolo visuale, tutta la trama del libro è attraversata dall’idea che per recuperare un dialogo tra imprese e lavoratori (storicamente interrotto quando la limitazione della libertà contrattuale è passata dall’essere contrattata in via autonoma – dunque sempre con una manifestazione dell’autonomia privata – ad essere imposta in via eteronoma, dopo la fine della prima guerra mondiale) sia necessario un ripensamento sia del soggetto sul quale tarare le politiche del lavoro, i datori di lavoro appunto, sia dei livelli istituzionali preposti a favorire detto dialogo.
La considerazione dei fabbisogni occupazionali delle imprese, infatti, da un lato richiede l’intervento dei pubblici poteri più prossimi alle istanze da regolare, e dall’altro, costituisce l’unico modo per rendere utili le politiche attive del lavoro; se giuridicamente questo implica un ritorno dalla totale libertà di scelta del contraente a forme di vincolo, può funzionare solo se si incarna in un apparato istituzionale più vicino alle imprese (e solo in via gradata ai lavoratori), che determini un risparmio per i datori di lavoro sui costi della formazione professionale.
Questo comporta che, a Costituzione invariata, dovrebbe trattarsi di apparati e attività governati completamente alle Regioni.