Otto Colleghi ed Amici decidono di affrontare assieme la non lieve (ma stimolante) fatica di scrivere un manuale di diritto romano nell’anno del Signore 2022. Di ottimi manuali ve ne sono già tanti in circolazione, sia per qualità scientifica che per efficacia pedagogica, nei quali l’articolazione degli argomenti illustrati corrisponde a consolidati canoni espositivi, caratteristici del¬l’insegnamento superiore della nostra disciplina, che si radicano in una tassonomia difficile da stravolgere, in quanto sedimentazione di una millenaria esperienza pratica e didattica. Ed allora la domanda non può che sorgere spontanea: perché scrivere l’ennesimo manuale istituzionale? Perché questo non è solo un manuale istituzionale, almeno nell’accezione metodologica del termine. Gli Autori – alcuni dei quali con decenni d’insegnamento alle spalle – hanno voluto cimentarsi in un’opera che tenta di strutturarsi, quanto più possibile, attraverso caratteri di novità in grado di soddisfare la loro ambizione al rinnovamento di modelli epistemologici, di fissazione e trasmissione della conoscenza giuridica. Cominciamo dal titolo del volume: Il diritto romano dopo Roma. Attraverso le modernità, al tempo stesso sia denotativo, in quanto rispecchia puntualmente il contenuto delle pagine del testo, che si spinge in più luoghi all’ana¬lisi dell’eredità del diritto romano, che connotativo, in quanto rimanda alla pro¬blematicità dei rapporti tra esperienza antica e contemporanea, evocando suggestioni comparatistiche. Si tratta dunque di un titolo che rappresenta un manifesto programmatico e insieme un compromesso tra le diverse sensibilità dei singoli Coautori. Se il diritto romano dopo Roma è un’ovvietà storica sul piano della sequenza temporale, simbolico è invece il messaggio che il titolo esprime e che va letto in stretto rapporto con la seconda sua parte, attraverso le modernità. Perché è solo attraversando le modernità giuridiche, che s’inverano nella Storia, che può esprimersi quello scavo archeologico, laborioso ed incessante, che consente di rinvenire in apparentemente antiquari depositi – da molti ritenuti anacronistici – il diritto romano inteso quale “esperienza secondaria”, vissuta dopo la vigenza storica di quel diritto e fissatasi culturalmente nella memoria antropologica dell’Umanità. Affermazione questa che non deve essere tacciata di ingenua illusorietà, in quanto il diritto romano dopo Roma è una presenza negli studi giuridici dell’intero mondo, e non solo in quello occidentale. Una ragione di questa presenza deve pur esserci; ed infatti vi è. Risiede nel fatto che in ogni processo euristico predomina un criterio selettivo volto a salvare solo ciò che si ritiene utile sia alla pragmaticità del quotidiano che alla speculazione teoretica, che di quel quotidiano rappresenta la sublimazione più immediata. Ed il quid caratterizzante il diritto romano, che ne rappresenta il dato ontologico che ne assicura la persistenza, si rinviene, non nell’ordinamento giuridico di una comunità del Lazio sulle rive del Tevere, ma in una vicenda storica fattasi universale perché fortemente adattatasi alle più diverse realtà umane, dimostrando quei caratteri di “secondarietà debole”, che l’hanno resa, per ciò stesso, patrimonio di tutti. I Romanisti hanno il dovere di rendersi custodi di questo patrimonio conoscitivo, che ha di certo chiara derivazione dal diritto di Roma come esperienza storica, ma che porta in sé il seme di una vita e di un destino di “longue durée” che lo emancipa dall’avventura della sua emersione. Si tratta di un’auto¬nomia condotta non solo all’interno della comunità dei dotti, ma proiettatasi anche nel profondo delle più eterogenee costruzioni giuridico-normative, in forma diversa, a volte come non apparente presupposto di istituti alieni a quell’e¬spe¬rienza, ma che da essa derivano terminologie, grammatica e sintassi, un lessico giuridico costitutivo delle diverse coordinate concettuali. L’illustrata circostanza temporale di un dopo (Roma) più rilevante di un prima (di Roma) pone certo la questione di quale sia il nucleo fondativo di una disciplina che si fa sempre altro nei contenuti e nelle sue letture e riletture, che ne trasformano costantemente oggetti e significati, un processo che la rendono materia debole e forte allo stesso tempo, poiché è proprio la flessibilità la ragione della sua permanenza. Ma la domanda non può di certo trovare risposte banali e burocratiche nelle tabelle ministeriali, che pongono limiti contenutistici agli Autori di que¬sto manuale, i quali sono ben consapevoli che trattasi di limiti vaghi e per ciò stesso valicabili. Una possibile risposta, almeno quella qui adottata, è che il diritto romano è ciò che tale si ritiene senza dubbio sulla scorta di una non ignorabile tradizione, ma altresì in ragione della tensione intellettuale di coloro che continuano a studiarlo, della passione che agita i suoi indefessi cultori, delle ambizioni che li sollecitano. Può apparire una affermazione ardita quella appena indicata, ma non lo è se si guarda alle rivoluzioni metodologiche già intervenute dai Glossatori fino all’ultimo secolo appena trascorso. Non è sufficiente a smentire il nostro assunto opporre un originalismo interpretativo che assicuri il pieno rispetto delle fonti. La storia dell’evoluzione della disciplina è caratterizzata da rivoluzioni metodologiche che ne hanno profondamente mutato prospettive, si pensi alla Pandettistica, o alla critica interpolazionistica, che di quelle fonti fece riscrittura a volte arbitraria. Processo continuo, se dagli anni Settanta del secolo trascorso ha registrato la fioritura gli studi ricostruttivi, a partire da approfondimenti palingenetici, dei profili dei singoli giuristi romani, di cui si accentuano le qualità autoriali, dando enfaticamente non poca rilevanza a fonti come l’Enchiridion di Pomponio. Il diritto romano diviene allora il “diritto dei giuristi” (Juristenrecht), con una evidente forzatura della realtà, assata su plurimi ‘formanti’ di un ordine legale avente a Roma sue specificità, un ordine legale che non si fa sistema, ma corpo complessivo di materiali di carattere normativo, costituito da testi legislativamente prodotti, ma anche da testi-norme, testi-principi, testi giustificativi di decisioni. Ed ancora, testi creati dalla iuris scientia come componente di una dinamica interazione tra legislazione, giurisdizione e comportamenti sociali, all’interno di un circuito nomopoietico recettivo delle istanze della comunità nel quale gli esercenti l’imperium, nelle sue più diverse epifanie, e i giudici rappresentano i veri motori della “verbalizzazione normativa” del reale, nel quale la “parola del potere” si fa “parola del diritto”. Simile prospettiva non spoglia di autorevolezza i prudentes, quali tecnici del diritto, che attraverso la loro attività ermeneutica esprimono lo ius controversum continuamente alimentato in seno alla loro comunità dove, per il tramite di una riflessione collettiva, che attraversa il tempo su un piano di contemporaneità, personalità grandi e piccole vengono assorbite in un magma interpretativo dove tutto coesiste. Ma grandi sono stati peraltro i progressi che lo studio della iurisprudentia romana ha apportato all’evoluzione della disciplina, fino al punto d’incen¬ti-vare la produzione di un ampio spettro di biografie miranti a rappresentare un diritto giurisprudenziale come costituito da figure antonomastiche di giuristi, occupati nella risoluzione topica di controversie più o meno complesse. Si tratta di una visione certo intrigante, che esercita da sempre una forte malìa in coloro che la adottano, ma che non tiene nel dovuto conto che il progresso del diritto è incontrovertibilmente legato al potere e al suo esercizio. La storia del diritto romano si determina così dal sovrapporsi di diverse visioni che esprimono nella loro conflittualità un’incertezza che, in fondo, di quel diritto rappresenta la forza e che rende il suo studio la disciplina più autenticamente antidogmatica e per questo motivo la più adatta ad intendere un’attualità sempre più ‘liquida’, che sfugge a schemi preconfezionati. Il manuale che segue è denso di contraddizioni, evidenti disomogeneità stilistiche e contenutistiche, rappresenta dunque lo specchio di una realtà che è scientificamente controversiale, interpretabile e reinterpretabile, ma proprio per questo suo carattere in grado di resistere al tempo, nel cui flusso è immersa senza argini e senza nostalgie. Questo è il senso del presente manuale che gli Autori hanno voluto offrire all’attenzione degli studenti nel suo pluralismo culturale volto a dimostrare che l’eternità del diritto romano si costruisce sulla sua precarietà, e che il simbolo cui dobbiamo guardare per rappresentare questa realtà non è la Torre di Babele con la sua imponenza architettonica e la sua apparente stabilità, ma l’Universo nella sua dimensione inflazionaria, sempre cangiante ma sempre identica a sé stessa. In definitiva questo libro non è altro che un invito ad entrare nei labirinti di un mondo vivo ed eterno nel suo costante cambiamento.