È difficile licenziare questa edizione del Manuale senza che il pensiero torni ai tanti detenuti morti suicidi, quasi uno ogni quattro giorni, nell’anno appena trascorso. Si ha ragione di temere che quasi sempre si tratti di persone a cui lo Stato ha tolto legittimamente la libertà, ma illegittimamente anche la dignità e la speranza, al punto da indurle a togliersi la vita. Sono estremi gesti di disperazione che in genere ricevono un’attenzione fugace dai media, una costernazione di circostanza da parte della politica, un’accettazione come di una dolorosa e inevitabile calamità nel pensiero collettivo. Ma di inevitabile c’è ben poco. La causa va principalmente ricercata nell’atteggiamento di inescusabile inerzia di chi avrebbe potuto e dovuto rifondare il sistema dell’esecuzione della pena, di quella carceraria in ispecie; la causa della causa, nella bassa redditività politica del tema carcere. Nel chiudere la Premessa all’edizione precedente abbiamo già voluto far presente che, soddisfatte le esigenze più squisitamente didattiche, questo Manuale non trascura di prestare attenzione allo sfondo politico culturale delle norme, anche di quelle – se si potesse dir così – inopinatamente assenti. Ebbene, scriviamo questa Premessa a dieci anni esatti dall’ustionante condanna inflitta dalla Corte di Strasburgo per violazione dell’art.3 della Convenzione europea (sent. Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013). Se in questi due lustri, a parte qualche modifica di portata circoscritta, non ricordiamo altro che conati di riforma (Stati generali dell’esecuzione penale, Commissione di riforma Orlando, Commissione di riforma Cartabia); se le uniche recentissime innovazioni riguardanti l’esecuzione penale (giustizia riparativa, sanzioni sostitutive, ufficio per il processo) sono novità “di risulta” derivanti dalla riforma della giustizia penale di cognizione; se il Parlamento – con un ritardo che ha “attraversato” legislature e maggioranze differenti – ha impiegato quasi due anni, subendo un doppio sollecito da parte della Corte costituzionale, per mettere mano al regime del c.d. ergastolo ostativo, di cui la Consulta aveva rilevato l’incostituzionalità investendolo del compito di apprestare una disciplina che vi ponesse rimedio (ord. 97/2021 e ord. 122/2022); se in tanta parte della nostra realtà penitenziaria la pena continua a consistere in trattamenti umanamente degradanti violando la Costituzione (art. 27, co. 3°) e la Convenzione europea (art. 3), forse non è azzardato ritenere che, sia pure con motivazioni differenti, tutte le forze politiche abbiano gravi responsabilità in omittendo. Responsabilità delle quali sanno di non dover rispondere elettoralmente, essendo la realtà carceraria da tempo oggetto di una sorta di rimozione sociale. Anzi, una carcerazione inflessibilmente e ciecamente punitiva incontra largo consenso in una collettività che, attraversata da un’ansiosa ricerca di sicurezza, ritiene fallacemente di conseguirla recludendo chi delinque entro invalicabili mura e non già adoperandosi affinché ne esca socialmente migliore rispetto a quando vi è entrato. Quelle che precedono, naturalmente, sono soltanto considerazioni sommarie rispetto a temi costituzionalmente e democraticamente cruciali che richiederebbero ben altro approfondimento. Forse, considerazioni eterodosse per una Premessa. Confidiamo però che possano almeno testimoniare l’intento dei curatori e degli Autori di non offrire con questo Manuale soltanto uno strumento interpretativo, un prezioso sussidiario di lettura critica del sistema normativo, ma anche una sollecitazione a distogliere ogni tanto lo sguardo dalle norme per rivolgerlo alla realtà penitenziaria e culturale, che ancor più delle disposizioni legislative, costituisce la cifra di civiltà di un Paese.